domenica 17 settembre 2017

La comunicazione

Per comunicazione si intende il processo e le modalità di trasmissione di un'informazione da una persona a un'altra (o da un luogo a un altro), attraverso lo scambio di un messaggio elaborato secondo le regole di un determinato codice[1].
Il processo comunicativo, secondo il modello Shannon-Weaver, si basa su alcuni elementi fondamentali:
  1. il sistema (animaleuomomacchina) che trasmette (l'emittente);
  2. un canale di comunicazione, necessario per trasferire l'informazione;
  3. un contesto di riferimento in cui il processo si sviluppa;
  4. il contenuto della comunicazione è contenuto nel messaggio;
  5. il destinatario del messaggio comunicato (il ricevente);
  6. l'informazione;
  7. un codice formale mediante il quale viene data una forma linguisticaall'informazione, cioè viene significata.
Questi elementi sono necessari per costruire un modello della comunicazione che preveda anche due atti comunicazionali da parte dell'emittente e del ricevente: la codifica e la decodifica delle informazioni.
Generalmente si distinguono diversi elementi che concorrono a realizzare un singolo atto comunicativo definiti, tra gli altri, da Paul Grice.
  • Emittente: è la persona che avvia la comunicazione attraverso un messaggio.
  • Ricevente: accoglie il messaggio, lo decodifica, lo interpreta e lo comprende.
  • Codice: parola parlata o scritta, immagine, tono impiegato per "formare" il messaggio.
  • Canale: il mezzo di propagazione fisica del codice (onde sonore o elettromagnetiche, scrittura, bit elettronici).
  • Contesto: l'"ambiente" significativo all'interno del quale si situa l'atto comunicativo.
  • Referente: l'oggetto della comunicazione, a cui si riferisce il messaggio.
  • Messaggio: è ciò che si comunica e il modo in cui lo si fa.
Come si è detto, il processo comunicativo ha una intrinseca natura bidirezionale, quindi il modello va interpretato nel senso che si ha comunicazione quando gli individui coinvolti sono a un tempo emittenti e riceventi messaggi.
La comunicazione può essere disturbata da un rumore, cioè qualunque fattore, sia fisico che psicologico, che interrompa o ostacoli il processo.
Per ovviare al problema del rumore si hanno due possibili vie da seguire:
  • la ridondanza, cioè quando l'emittente rende più comprensibile il messaggio ripetendolo in modo più chiaro o accompagnandolo con gesti ed espressioni facciali;
  • il feedback, cioè quando il ricevente restituisce l'informazione al mittente, che così può verificarla, chiedendo chiarimenti.
Rumore, ridondanza e feedback rendono la comunicazione dinamica.

Tipi di rumoreModifica

I possibili tipi di rumore che si possono presentare sono:
  • Esterno, cioè i fattori esterni al ricevente (come il rumore del treno che passa);
  • Fisiologico, cioè i fattori biologici che interferiscono con una ricezione accurata (come una malattia o la perdita temporanea dell'udito):
  • Psicologico, cioè le forze, interne a chi comunica, che interferiscono con l'abilità di esprimere o recepire un messaggio (come una preoccupazione);
  • Culturale, cioè quando la cultura dell'emittente è differente da quella del ricevente (come un messaggio in italiano inviato ad un francofono).
Paul watzlavick ed i suoi colleghi, nel 1967, hanno introdotto un'importante differenza nello studio della comunicazione umana: ogni processo comunicativo tra esseri umani possiede due dimensioni distinte, il contenuto (ciò che le parole dicono) e la relazione (quello che i parlanti lasciano intendere, sia a livello verbale che non, sulla qualità della relazione che intercorre tra loro).
Il modello di Friedemann Schulz von Thun: il quadrato della comunicazione.
Nel 1981, lo psicologo Friedemann Schulz von Thun, dell'Università di Amburgo, ha proposto un modello di comunicazione interpersonale che distingue quattro dimensioni diverse, nel cosiddetto "quadrato della comunicazione":
  • Contenuto: di che cosa si tratta? (lato blu del quadrato, in alto).
  • Relazione: come definisce il rapporto con te, che cosa ti fa capire di pensare di te, colui che parla? (lato giallo, in basso).
  • Rivelazione di sé: ogni volta che qualcuno si esprime rivela, consapevolmente o meno, qualcosa di sé (lato verde, a sinistra).
  • Appello: che effetti vuole ottenere chi parla? Ciò che il parlante chiede, esplicitamente o implicitamente, alla controparte di fare, dire, pensare, sentire. (lato rosso, a destra)

giovedì 4 maggio 2017

Intelligenza

Benché i ricercatori nel campo non ne abbiano ancora dato una definizione ufficiale (considerabile come universalmente condivisa dalla comunità scientifica), si può generalmente identificare l'intelligenza come la capacità di un agente di affrontare e risolvere con successo situazioni e problemi nuovi o sconosciuti;[1][2] nel caso dell'uomo e degli animali l'intelligenza pare inoltre identificabile anche come il complesso di tutte quelle facoltà di tipo cognitivo o emotivo che concorrono o concorrerebbero a tale capacità.
Tradizionalmente attribuita alle sole specie animali, oggi l'intelligenza viene da alcuni attribuita, in misura minore, anche alle piante, mentre il campo di ricerca dell'intelligenza artificiale tenta di creare delle macchine che siano in grado di riprodurre o di simulare l'intelligenza umana.
Per quanto riguarda l'intelligenza umana, sono stati sviluppati dei modelli per la valutazione o "misura" della stessa. Va però precisato che tali modelli valutano solo aspetti specifici della capacità intellettiva degli individui: i risultati dei test d'intelligenza vanno dunque considerati come giudizi validi solamente in riferimento a dei singoli aspetti, e non all'intelligenza dei soggetti testati nel suo complesso.
Di seguito sono elencati i principali test psicometrici (in ordine cronologico di ideazione):
  • Alfred Binet (1911) e in seguito Lewis M. Terman all'Università di Stanford (1916) costruiscono un test che prende in considerazione soltanto quegli aspetti dell'intelligenza utilizzati in ambito scolastico, composto dunque da prove (diverse) strettamente inerenti all'ambito scolastico stesso. Erede contemporaneo del test sono le Scale d'intelligenza Stanford-Binet. Concetto chiave è il quoziente d'intelligenza (QI) come rapporto tra età mentale ed età cronologica moltiplicato 100. Il valore 100 del quoziente intellettivo è considerato il valore medio della popolazione. Il test Stanford-Binet misura un solo fattore di "intelligenza", e propone prove suddivise per fasce di età. Non ha validità per individui più grandi di 13 - 14 anni.
  • Il Wechsler Adult Intelligence Scale (WAIS, 1939) riprende i tipi di compito dello Stanford-Binet, nonché il concetto di quoziente intellettivo, e li ricostruisce per gli adulti. È costituito da più sub-test, ciascuno dei quali è composto da voci a difficoltà progressiva. Il WAIS, al contrario dello Stanford-Binet, non prevede un solo fattore di intelligenza generale, ma comprende anche una serie di dimensioni, coerenti al loro interno per tipologia di prove, che compongono il test: prove verbali (cultura generale, comprensione, analogie, memoria di cifre, ragionamento aritmetico), le prove di performance (riordinamento di figura, completamento di figura, disegno di cubi, ricostruzione di figura, associazione di simboli o numeri).
  • Per entrambi questi test (Stanford-Binet e WAIS) è chiara l'importanza, sulla misura finale, del livello di scolarizzazione del soggetto. Si sono quindi progettati dei test d'intelligenza "culture free", non influenzati dal tipo di educazione e di cultura del soggetto messo sotto analisi; i più noti sono quello delle matrici progressive di Raven (1938), matrici numeriche da completare e il Culture fair intelligence test (1949) di Cattell. Studi su questi test sembrerebbero dimostrare che essi non discriminano in modo adeguato i soggetti con intelligenza superiore alla norma, mentre sembrerebbero più adatti per valutare i soggetti svantaggiati.

I test d'intelligenza e il razzismo in psicologiaModifica

Approfondimenti
Diagrammi circolari delle immigrazioni provenienti dal nord-ovest europeo (in rosso) e dal sud-est europeo (in blu). Da notare la discesa-ascesa dei primi, e l'ascesa-discesa dei secondi, prima e dopo l'Immigration Act del 1924.
  • Tesi ereditarista
(Nella storia della psicologia, tesi sostenuta da Piaget).
Il QI di una persona dipende dal suo genotipo (dunque è immutabile e non dipende dal tempo ontologico della persona).
  • Tesi ambientalista
(Nella storia della psicologia, tesi sostenuta da Vygotskij).
Il QI di una persona dipende dall'ambiente culturale in cui è nata, cresciuta e in cui vive (dunque è mutabile e dipendente dal tempo ontologico della persona).
Bambina statunitense di origine asiatica.
Nel XX secolo a causa delle crescenti immigrazioni dall'Europa e dall'Asia gli psicologi statunitensi si sono posti il problema:
  1. se vi fosse un legame fra QI e razza di appartenenza;
  2. come investire i soldi nell'educazione dei ragazzi e in particolare in ragazzi con QI basso.
Questi studi portarono a riscontri molto duri in campo psicologico e non: Carl Brigham, nel suo testo A study of american intelligence (1923), affermava che l'intelligenza degli americani, di razza bianca nordica, era inquinata dalle razze mediterranee e dalle razze slave. Nell'anno successivo (1924), tale testo, ebbe una notevole influenza nella formulazione, da parte del governo federale statunitense, dell'Immigration Act, mediante il quale l'entrata nei confini degli USA da parte di immigrati venne drasticamente diminuita. Nel '28 la polemica si estinse grazie all'articolo Nature and Nurture nel quale Lewis Madison Terman, pur essendo un convinto ereditarista, propose un compromesso fra la tesi ereditarista e la tesi ambientalista.
Si ipotizza che il dibattito nord-americano sull'ereditarietà dell'intelligenza sia stato dovuto alle leggi razziali tedesche e all'afflusso di immigrati alla fine degli anni trenta.[6]

Linguaggio

Il linguaggio, in linguistica, è quell'insieme di suoni, gesti, movimenti possono portare attraverso processi mentali a significati ben precisi. Questo è presente in molte specie animali tra le quali l'essere umano ed è usato per comunicare con uno o più destinatari.
La capacità di linguaggio orale, nell'uomo, si è sviluppata a seguito di mutamenti strutturali della cavità orale. In particolare l'arretramento dell'ugola ha reso l'essere umano capace di esprimere una gamma sonora variegata, capace di garantire una non generica nomenclatura del mondo.
Il primo a dimostrare che il linguaggio rappresenti una risorsa importante nello sviluppo intellettivo, vista la sua funzione mediatrice tra l'ambiente e l'essere umano, fu Ivan Pavlov, che effettuò lunghi studi ed esperimenti sulle percezioni e rappresentazioni mentali, oltre che sulle elaborazioni dei segnali, dai quali si formano i concetti.
Importanti ricerche in questo ambito furono realizzate da Jean Piaget, il quale sostenne la presenza di due fasi fondamentali di sviluppo: la prima è quella del linguaggio egocentrico (0-6 anni), costituito, per lo più, da ecolalie e monologhianimismo e attribuzione ai nomi degli oggetti di una concretezza non reale; la seconda fase si espande nel linguaggio sociale, che prevede dialoghi e comunicazioni bilaterali.
Bernstein elaborò la teoria che indicava nello stretto legame fra ambiente (familiare) e orientamento, influenzato dal ceto e dalla tipologia professionale, il tipo di linguaggio, forbito, ricco oppure povero e concreto, sviluppato dagli individui.[2]
Noam Chomsky afferma che le analogie strutturali che si riscontrano nelle varie lingue, fanno ritenere che vi sia una grammatica universale innata fatta di regole che permettono di collegare il numero limitato di fonemi che gli organi vocali della specie umana sono in grado di produrre. I biologi evoluzionisti hanno avanzato una teoria, che darebbe un fondamento evolutivo alla predisposizione umana alla lingua, basandosi su due concetti:
  1. In primo luogo, tengono conto dei vantaggi evolutivi e quindi presuppone una naturale selezione della specie umana che era in grado di comunicare a scapito degli ominidi precedenti.
  2. In secondo luogo, si tiene conto di come dei disturbi grammaticali che si riscontrano in alcuni individui siano a carattere ereditario e genetico.

giovedì 23 marzo 2017

La percezione

La percezione è il processo psichico che opera la sintesi dei dati sensoriali in forme dotate di significato. Gli assunti allo studio della percezione variano a seconda delle teorie e dei momenti storici. Le principali discipline che si sono occupate di percezione sono la psicologia, la medicina e la filosofia.
È possibile operare una prima distinzione tra la sensazione legata agli effetti immediati ed elementari del contatto dei recettori sensoriali con i segnali provenienti dall'esterno e in grado di suscitare una risposta e la percezione che corrisponde all'organizzazione dei dati sensoriali in un'esperienza complessa ovvero al prodotto finale di un processo di elaborazione dell'informazione sensoriale da parte dell'intero organismo.
La psicologia associazionista considerava la percezione come la somma di più stimoli semplici legati in modo diretto al substrato fisiologico degli apparati sensoriali. Con lo sviluppo e il consolidamento della psicologia della Gestalt, il centro dell'indagine sui processi percettivi passa dalla precedente concezione elementaristica alla percezione come risultato di un'interazione e organizzazione globale di varie componenti. Prima di esporre le varie teorie che si sono occupate della percezione, è opportuno comprendere i processi che ne stanno alla base. Tali processi sono di due tipi: la categorizzazione e l'identificazione.

Apprendimento

L'apprendimento consiste nell'acquisizione o nella modifica di conoscenzecomportamenti, abilità, valori o preferenze e può riguardare la sintesi di diversi tipi di informazione. Possiedono questa capacità gli esseri umani, gli animali, le piante e alcune macchine. L'evoluzione del comportamento nel tempo segue una curva di apprendimento. Lo studio dell'apprendimento umano fa parte della psicologia sperimentale, della pedagogia, della psicologia cognitiva e delle scienze dell'educazione. Le istituzioni dell'educazione formale devono tener conto dei principi generali che regolano l'apprendimento nella stesura del progetto educativo. Numerose sono le agenzie sociali che producono apprendimento informale. Possono essere appresi sia comportamenti adattativi che disadattivi.
Dal punto di vista psicologico, l'apprendimento è dunque una funzione dell'adattamento di un soggetto risultante dall'esperienza di un problema o contesto nuovo (o cambiamenti nel contesto), ovvero un processo attivo di acquisizione di comportamenti stabili in funzione dell'adattamento ai cambiamenti nell'ambiente (o contesto), che costituiscono per il soggetto problemi da risolvere. In sostanza, dunque, apprendere vuol dire acquisire nuove modalità di agire o reagire, per adattarsi ai cambiamenti dei contesti ambientali, compresi i contesti relazionali. Se i comportamenti modificati dall'esperienza sono relativamente semplici, si parla di condizionamento, fenomeno dovuto all'esposizione a nuovi stimoli interni o esterni.

Una rappresentazione fantascientifica dei metodi di apprendimento